Architetture di rete e loro attualizzazione attraverso un search engine di genere

Intervento su "cercatrice di rete" del 3 ottobre 2007 al ConvegnoWomen’s Lib-rary organizzato dal  Centro Studi e
Documentazione Pensiero Femminile di Torino.

di Marzia Vaccari

Per me è molto importante usare
la rete per mostrarvi alcuni percorsi per darvi qualche suggestione lungo il
percorso dello svelamento di nuovi meccanismi di “dominazione” inscritti nelle
tecnologie dell’ IC. Chi mi ha preceduto penso abbia insistito, e anche chi poi
continuerà dopo di me, su questa esigenza che i saperi, le competenze, la
produzione di informazione, la produzione culturale, gli archivi, i cataloghi,
diano ragione a un modo di rappresentare il mondo che è specificatamente
l’altra metà del cielo rispetto appunto a un generico neutro.

In questo caso penso che anche
Adriana abbia fatto capire bene come dietro la concezione del linguaggio neutro
ci sia la rappresentazione del simbolico maschile. Vorrei mostravi
concretamente questa astrazione attraverso l’ interrogazione, via Internet, del
catalogo delle biblioteche italiane. Utilizzerò la maschera che mi permette di
interrogare il Sistema Bibliotecario Nazionale, spero, mentre vi mostro
l’operazione a computer, che voi possiate anche aggiungere osservazioni, con la
vostra competenza, a questo ragionamento perché prendo in prestito questa
architettura di rete, non la conosco a sufficienza come penso invece molte di
voi la conoscano; perciò mi perdonerete se non sarò precisa.

In generale mi diverto molto a
guardare nella piattaforma software il gioco di nominazione linguistica che
veniva agito, perché nominare significa anche far esistere le cose e questo
l’ho imparato da Sabatini, da Adriana e dalle altre, da Patrizia Violi… e
nominare in questo caso significa nominare dentro a una piattaforma ad
un’architettura di rete qual’è il Sistema Bibliotecario Nazionale. Esso
raccoglie i cataloghi di 15.000 biblioteche italiane. Iniziamo con la ricerca
di una monografia, ma è possibile anche lo spoglio di una rivista. Cerchiamo
insomma del materiale documentale e non sappiamo esattamente il titolo
dell’opera; in un sistema come questo credo che il campo SOGGETTO e il campo
CLASSIFICAZIONE, NUMERO e DESCRIZIONE immediatamente ci invitano a digitare
delle parole chiave. Nel preparare questo intervento mi sono cimentata a
cercare che cosa mi può restituire il Sistema Bibliotecario Nazionale alla
parola stupro, scelta perché, non
dimentichiamolo mai, è densissima di significati spesso dolorosissimi per noi
donne.

Voi mi scuserete, ma con
intenzione uso questa parola così forte perché comunque vorrei che fosse chiaro
per tutte noi che chi si occupa di queste cose fa una pratica politica che è
sempre un corpo a corpo con gli oggetti, in questo caso con le parole. E notate
la cosa sconvolgente: 15.000 biblioteche che tutte insieme popolano questa
banca dati mi danno 2 item, 2 risultati e per fortuna che appunto abbiamo il Processo per stupro della grande e
mitica Loredana Rotondo. Qui mi fermo e passo ad un altro percorso di ricerca,
per oralo parcheggiamo sul desktop. Passiamo ad un altro dato e andiamo in
un’altra piattaforma che fa interrogazione di cataloghi, medesimo oggetto
informatico ma diverso contenuto informativo, e andiamo a scegliere la rete
Lilith perché credo che sia importante anche mostrarvela e presentarvela nella
sua espressione on.line dal sito della rete implementato appositamente sul
Server Donne. L’obiettivo è di usare un metro di paragone vicino all’IR
(Information Retrieval) del SBN. Nel caso della banca dati di Lilith cerco nel
campo PAROLE CHIAVE che è l’analogo, nell’altra piattaforma IR (nel Sistema
Bibliotecario Nazionale) del campo SOGGETTO. Mi rimetto a digitare questa
parola così sconvolgente. E in corrispondenza di questa parola chiave io
ritrovo 163 item. Voi capite il risultato sconvolgente a cui giungiamo, al di
là di tutte le particolarità tecniche, esempio il Sistema Bibliotecario Nazionale
dovremmo compararlo con la base dati Lilith all’interno dei medesimi oggetti
della biblioteconomia, le monografie piuttosto che lo spoglio di riviste,
materiali grigi piuttosto che video o altro.

Io non mi dilungo su queste cose
perché non è la mia competenza. Vorrei porre alla vostra attenzione al dato
quantitativo: 2 item in un sistema che cataloga 15.000 biblioteche, 163 item in
un sistema che ha permesso la riunificazione dei cataloghi di una trentina (30)
di Centri di Documentazione delle donne.

Ecco, credo, che partendo già da
questo, il fenomeno ci ha fatto un attimo sobbalzare. Mi sono posta tante
domande che ci riguardano in questo momento, visto che in questa giornata
stiamo cercando di attualizzare il lavoro fatto e il lavoro da fare. E allora
questo è un dato che io vi ho portato perché vorrei fare a tutte voi e a tutti
voi, uomini e donne, un grande invito. D’accordo le frontiere del web si
spostano continuamente: siamo al web 2.0, si parla anche di un web 3.0, se
volete ne possiamo anche parlare, ma quello che mi mostro è una tecnologia
precedente al web. Come architettura di rete visualizziamo degli IR che
esistevano ancora prima del web; attualizzare significa per me dire a tutti voi
che c’è ancora tantissimo lavoro, questo l’invito. Nel momento in cui una
biblioteca, un centro di documentazione entra in un circuito, che permette la
condivisione del nostro patrimonio documentale italiano, il lavoro da fare è
veramente quello di andare a contaminare questo ambiente e questa architettura di
rete perché la catalogazione partecipata, la catalogazione diciamo delle vostre
biblioteche che viene poi riversata nel sistema più generale se conterrà nei
campi descrittori, nel soggetto, le parole che ci rappresentano sicuramente il
sistema nazionale potrà restituire a tutte noi la ricchezza dei nostri
patrimoni, in questo caso cartacei, i nostri patrimoni documentali. Questo la
prima suggestione, vediamo l’altra che segue il passaggio dagli IR al web.

Quello che vorrei mostrarvi è
come in questo gioco comparativo fra un’architettura di rete e un’altra la
questione della nominazione non muta, non migliora. Il web 1.0, il web che si è
imposto e consolidato dalla sua nascita fino a 3-4 anni fa è il web che a
fronte dell’enorme mole di informazioni e di documentazione produce i motori di
ricerca. Essi funzionano da un lato con procedure di indicizzazione di grande
mole di pagine, questa è la parte nascosta, e dall’altro con un algoritmo che
cerca in questi grandi indici, attraverso una procedura che genera un elenco di
risposte ordinate in base al numero di volte che una parola che noi diremmo
parola chiave viene trovata nel testo combinata con il numero e le volte che
quel testo è stato “linkato da altri”. Il passaggio del “linkato da altri” è, a
mio parere, fondamentale perché il page rank, questa la definizione, ossia la
capacità che ha un motore di ricerca di mettere al primo posto un documento
piuttosto che un altro non è soltanto dal numero di volte dove trova la
parola  in quel testo ma anche dal
numero di link, di collegamenti, di citazioni. Il collegamento altro non è che
una citazione. L’associazione Orlando già da una decina d’anni si è posta
all’interno di una visione “romantica”, quella di abitare le tecnologie
portando l’autonomia e la libertà delle donne, quell’autonomia e libertà che
abbiamo imparato in tanti altri luoghi della nostra vita. Nell’abitare le
tecnologie portare libertà e autonomia ha significato innanzitutto, accorgerci
che non era solo un problema di nominazione e di dominazione ma c’era un
problema di esistere. Mi spiego meglio, per tanti anni abbiamo combattuto con
la difficoltà di essere rintracciate in maniera pertinente e precisa, per tanti
anni il motore di ricerca più famoso del mondo digitando la parola donna e digitando il dominio women ha messo ai primi posti pattume,
trash, materiale pornografico. In pochi e in poche se ne sono accorti perché
tutto sommato questa deriva del web non ha toccato le nostre rappresentazioni.
Sicuramente noi eravamo in un altrove a fare altro. Noi che gestivamo, dal
punto di visto informatico, il dominio women.it ci siamo accorte che lentamente
le centinaia di utenti del server quelle di noi che avevano come casella di
posta elettronica @women.it venivano bersagliate di spamming pornografico semplicemente
perché avevano questa parolina che è women, che è donne. E direi che qui si
apre veramente una dimensione che è tutta politica all’interno di una
tecnologia che in apparenza invece rimanda ad un’oggettività, ad una
scientificità, ad un neutro che comunque deve nel simbolico valere per tutti.

Qui vado molto velocemente,
saltanto molti passaggi,abbiamo intrapreso molti altri tipi di azioni per
continuare ad esistere. Vengo ad una delle ultime: quella di produrre un
software contro lo spamming pornografico. Ciò che vorrei mostrarvi è che la
capacità di usare una tecnologia di rete, come un robot di ricerca, un search
engine non è impraticabile perchè il messaggio che vorrei portare avanti oggi è
quello di farvi vedere come avendo il coraggio di sfidare un potere delle
citazioni come quello di google si può introdurre, da un’altra parte e con la
contaminazione dei saperi, un altro simbolico quello delle donne. Per questo
abbiamo allestito una piattaforma di search engine  e l’abbiamo chiamata “cercatrice di rete”. La tecnologia è la
medesima, cambia soltanto la dimensione dell’artefatto tecnologico: Google ha
25 centri di calcolo sparsi in tutto il mondo, ha milioni di gigabyte di
memoria per contenere i dati, ma quando è nato, è nato con uno, due, tre macchine
perchè la tecnologia non è mai ambiente fine a se stesso rischiamo di farla
diventare ambiente a noi stessi, quando in realtà è ambiente da abitare. E noi
abbiamo cercato di abitarla con Cercatrice di rete. Praticamente abbiamo
indicizzato attraverso pratiche di condivisione di saperi: quello delle/degli
informatici, quello delle/dei linguisti, quello delle/degli esperti di
biblioteconomia, la stessa Piera Codognotto ha contribuito; Maria Pia
Brancadori, esperta di filosofia della differenza sessuale, le bibliotecarie
della biblioteca delle donne di Bologna. Abbiamo cercato di popolare il motore
di Cercatrice partendo appunto dai linguaggi naturali e con l’analisi dei testi
e usando Google. Abbiamo fatto dei ponti fra Cercatrice e Google: sfruttiamo
Google e la sua potenza di calcolo e imbarchiamo siti ma li filtriamo con le
nostre competenze, le nostre rappresentazioni, il nostro simbolico di donne e
il risultato è un nuovo artefatto tecnologico. Ha indicizzato tutti i siti
italiani delle donne o meglio tutti i materiali che, per ora, abbiamo trovato
in rete in lingua italiana; sta anche indicizzando tutti i quotidiani.

L’altra piccola magia che abbiamo
fatto è stata quella di orientare, di guidare chi fa ricerche. Entriamo in
profondità nel fenomeno. Nella dinamica della query digitando la parola violenza
via Google è significativa la sua parzialità. Da 3-4 anni fa Google è molto
migliorato, il page rank 3-4 anni fa dava in prevalenza siti pornografici,
quando oggi, questi emergono meno facilmente, diciamo che è diventato
politicamente corretto perché sicuramente è stato fatto lavoro di pulizia
attraverso l’implementazione di filtri. E, come si può vedere dal monitor: il
primo risultato della query è wikipedia che ci mostra il suo contenuto. Se entriamo
dentro alle altre pagine proposte dall’elenco, la rappresentazione, il
significato della parola violenza veicolato da questi siti non è sbagliata ma è
neutra, è parziale e per andare a rintracciare una rappresentazione della
violenza di altro genere, che considera il nostro genere dobbiamo andare molto
in basso nell’elenco. Io sicuramente porto un punto di vista di genere che è
contaminato dalla politica del movimento delle donne e per questo gradirei che
al primo posto ci fossero i Centri Antiviolenza, che ci fossero le Case delle
donne per non subire violenza, perché la rete Internet, che garantisce così
bene l’anonimato, spessissimo è utilizzata da chi subisce violenza e fatica a
denunciarla e a chiedere aiuto. L’altra magia che abbiamo cercato di realizzare
con Cercatrice di rete è di invitare, mostrando, con i suggerimenti alla
ricerca, le parole che difficilmente vengono utilizzate e con parole che non si
trovano da altre parti.Abbiamo fatto il match con i thesauri che citavano
Adriana e Piera: “Linguaggio Donna”, “Tempi e spazi” e “L’inviolabilità del
corpo” del progetto Abside. Questi tre thesauri sono stati inseriti dentro a un
filtro e quando digito la parola violenza
vengono richiamate lemmi e parole politematiche tratte dai Thesauri. In
questo caso in corrispondenza della query sulla violenza viene fuori il suggerimento a utilizzare anche “Centro
antiviolenza”, “movimento delle donne”, sessismo, stupro, violenza carnale e
altro. L’interfaccia permette di usare nella query le politematiche e così si
può richiamare Centro antiviolenza e, immediatamente, vengono restituite tutte
quelle informazioni che Google lascerebbe a metà della sua graduatoria, a 2/3,
in fondo! Ecco questa è la seconda suggestione.

Passo all’ultima, per poi
concludere. Quello che vi ho fatto vedere è, per me, la scena del digitale. Ora
vorrei guardare, con voi, questi argomenti da dietro la scena. Cosa c’è dietro
alla scena? Vi ho parlato di Alverman che è il software, messo a punto da noi
informatici, per l’allestimento di Cercatrice ma mi piacerebbe parlarvi
dell’evoluzione dell’web che, a nostro parere, è molto interessante ed anche
importante per le donne anche per le pratiche politiche a cui siamo abituate.
E’ la grande conversazione del web 2.0: una grande conversazione dal basso che
la rete mette a disposizione in maniera gratuita e user friendly attraverso le
piattaforme di scrittura collaborativa come Wikipedia e il WIKI che è un modo
di scrivere in tanti e di pubblicare così contenuti condivisi.

Lungo questo filone già da un
paio di anni si è creata proprio anche una forma di richiamo dal virtuale al
reale che sono le manifestazioni dove ci si incontra, si discute e la
preparazione dell’incontro viene fatta via rete. A Bologna ci siamo cimentati
in una di queste manifestazione che è stata tutta organizzata via rete.
Federica Fabbiani che mi sta aiutando in questo momento con la navigazione in
Rete che vedete al monitor, ha cavalcando l’onda di questo tipo di iniziative
chiamate Barcamp, promuovendo e organizzando un Femcamp. Riporto integralmente
il testo che potete vedere collegandovi a http://barcamp.org/FemCamp:
“Femcamp è un barcamp per parlare di donne nelle tecnologie e tecnologie delle
donne. Il FemCamp ha un tema: le nuove tecnologie per valorizzare "le
voci, le visioni, le azioni delle donne". Analizziamo insieme, donne e
uomini, come svelare i condizionamenti dei comportamenti culturali, messi in
atto dalla società, ed evitare la conseguente stereotipizzazione di entrambi i
sessi. Il FemCamp si inserisce nell’ambito del convegno transnazionale “E-WIT”
di TechnéDonne, progetto finanziato
dall’Iniziativa Comunitaria Equal, che nei due anni di attività ha cercato di
contrastare la segregazione professionale femminile nelle ICT, affrontando in
maniera innovativa il gender digital divide.” E’ stato un esempio di scrittura
collaborativa che si è coagulata attorno ad un evento, tenutosi a Bologna il 26
maggio 2007, invitando le donne in rete a proporre argomenti e a pubblicare nel
WIKI, in anteprima, i loro materiali. Poi tutte ci siamo ritrovate in un spazio
reale ad alta densità tecnologica che, attraverso la diretta video metteva a
disposizione di tutta la Rete, quello che accadeva quel giorno, amplificando
con le dirette web tv e i post la manifestazione. Lo streaming e il dibattito
che è poi seguito nei giorni successivi ha prodotto, sempre in Rete, nuovi
fenomeni di presa di parola pubblica che, forse è azzardato definire femministi,
hanno segnato una importante tappa nella pratica femminista dell’autonomia e
della libertà femminile.

Questo per dirvi come l’evoluzione della rete sta andando
verso queste grandi piattaforme collaborazione, che partono tutte dallo spirito
del free software, delle piattaforme aperte, della costruzione di artefatti
tecnologici che non sono proprietari. Queste affermazioni tante di voi le
conoscono e, proprio all’interno di questa evoluzione, abbiamo messo in
cantiere un altro progetto che Annamaria Tagliavini prima citava: quello della
Biblioteca Digitale delle Donne. Ecco, qui vi vorrei mostrare l’ultima
operazione che nel suo divenire ha svelato anche a noi la strada per sottrarci
al potere delle nuovi dominazioni introdotte dalle ICT. La piattaforma che
abbiamo scelto, che si chiama E.PRINTS, un software gratuito, in linea con
quello che ha sempre fatto anche Lilith usando CDS-ISIS,distribuito
dall’Unesco, per la gratuità.

Sfruttando l’offerta del
Consorzio internazionale di condivisione di materiali digitali (materiali
grigi, video, power point) abbiamo cercato di costruire un archivio digitale e
di implementare moduli software per la digitalizzazione e la visualizzaizone di
libri. Il primo tassello è stato la digitalizzazione di tutti i manifesti che il
Centro delle Donne di Bologna ha collezionato in questi decenni. Con il
supporto di un esperto di e.prints, le bibliotecarie della biblioteca e le
ragazze dello staff tecnico di Server Donna hanno studiato i formati dei dati
per rispettare le specifiche assegnate a questi dalla Sovrintendenza ai Beni
Culturali. Il risultato è stato l’artefatto consultabile all’indirizzo www.bibliotecadigitaledelledonne.it.
Vediamo un esempio del suo funzionamento: andiamo a richiamare,
dall’interfaccia la lettera M, il manifesto sull’iniziativa su Rosellina
Archinto, possiamo vedere l’intero manifesto. Non mi dilungo sull’impatto
politico di questa operazione, credo sia evidente, vorrei invece ritornare e
svelarvi un po’ quello che c’è dietro la scena. Nel progettare il sistema di
archivio e di costruzione di una banca dati, in questo caso di materiali
documentali digitalizzati (es. i manifesti) è fondamentale scegliere il
software aperto dell’open source perché fa sì che un motore di ricerca possa
rintracciare questa unità informativa senza dover andare obbligatoriamente al
suo IR, come abbiamo visto all’inizio con SBN e, come abbiamo visto, anche con
Lilith. Bene, il software scelto permette di fare questo.

Nel fare questo, abbiamo capito
quanta politica c’è in rete perché la scorsa settimana, un po’ per testare il
software e un po’ per prepararci a questo intervento, abbiamo voluto vedere il
comportamento di Google rispetto alla nuova fonte informativa costituita dalla
Biblioteca digitale delle donne. Abbiamo scoperto che non la conosce, non ne sa
l’esistenza, perché? Perché nessuno ha fatto ancora un link ipertestuale al
sito. Infatti se adesso Federica riconsulta google e cerca “Il Manifesto
dell’iniziativa dell’Archinto” vedrete che google non è ancora in grado, non ha
ancora scoperto, non ha ancora capito che c’è, che esiste! E se anche scorriamo
tutto l’elenco di risposte di google questo item non viene mostrato e non lo dà
proprio perché non abbiamo ancora fatto un lancio, non è pubblicizzata a tal
punto da avere altri siti che linkano. Questo è molto grave, perché da un lato
ci fa capire che se nessuno mette tra i propri link una fonte di informazione
questa da un motore di ricerca non viene mai trovata. La riprova è con
Cercatrice, abbiamo forzato l’indicizzaizione, per venire da voi, e visto che
l’evento è richiamato da un altro sito, women.it, il manifesto è stato
ritrovato e via questo la Biblioteca Digitale delle Donne. A cascata questo
vuoto ingenera un equivoco: google, nuovo rappresentante dell’ universale
neutro che rappresenta solo una metà del cielo, con la sua pervasività rischia
di far tornare il femminile in una delle parti nascoste della rete, quella non
illuminata dall’universalità delle rappresentazioni e dei significati. Qui mi
fermo e “al lavoro”.


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